Sembra ormai accertato che, attorno ad un centro maggiore per dimensaione ed importanza (identificato sul colle Mitra tra Pettorano e Cansano), si sviluppò in età preromana una serie di centri minori sulle alture circostanti la valle. Percorrendo una mulattiera che parte dal paese di Roccacasale si raggiunge, in circa 40 minuti di cammino, l’altura di Colle delle Fate (m. 724), dove sono ancora ben visibili ampi tratti murari relativi ad un insediamento preromano.
Questo acrocoro fortificato, il più meridionale sul versante del Morrone, venne per la prima volta identificato da Antonio De Nino, studioso peligno molto attivo negli ultimi decenni del secolo scorso.
In seguito gli studi di Ezio Mattiocco ed alcune campagne di scavo (1965-66) hanno fornito nuovi dati, ancora però parziali rispetto all’estensione e all’importanza del sito. Attualmente sono facilmente riconoscibili i tratti murari relativi a tre cinte in “opera poligonale” di almeno due tipi; in particolare, nel recinto superiore pietre più grandi e ben lavorate, mentre nel lungo muro sul lato Nord più piccole e con una posa in opera meno regolare. La cinta più esterna è stata identificata prevalentemente sul lato settentrionale dell’altura ed è visibile con alcune interruzioni, per circa 350 metri. Secondo alcuni studiosi si tratterebbe di un muro di terrazzamento, databile al IV secolo a.C., relativo al soprastante recinto dell’acropoli. La sommità del colle è recintata da una muraglia trapezoidale, costruita con una tecnica più regolare in grandi massi lavorati; si tratta dell’acropoli vera e propria (ca. m. 70 x 30) fortificata in epoca posteriore rispetto alla prima, forse intorno al II secolo a.C., e che presenta al suo interno due cisterne di raccolta dell’acqua piovana. Un terzo tratto di muratura, visibile per circa 30 metri, è stato individuato sul lato orientale del colle ed è intermedio tra l’acropoli e il muro di terrazzamento. Gli scavi hanno chiarito le tecniche di costruzine delle murature e preso in esame le due cisterne. Si tratta di strutture a “Tholos”, cioè con filari di pietre aggettanti verso la sommità. Entrambe mostrano una copertura costituita da una grossa pietra ed hanno un impianto costruttivo assai regolare e con ingegnosi espedienti, come l’isolamento del serbatoio con uno strato di argilla depurata per impermeabilizzarne le pareti. All’interno delle cisterne sono stati rinvenuti soprattutto scarti di argilla e frammenti di vasi non lavorati al tornio, pezzi di tegole ed embrici di età romana. Il materiale ritrovato sembra comunque di riporto, forse prelevato nelle vicinanze delle cisterne ed utilizzato per il riempimento delle stesse, non più funzionali.
Lo spazio ristretto recintato sulla sommità del colle insufficiente per un insediamento, la presenza del terrazzamento e le due cisterne hanno portato gli studiosi ad ipotizzare una funzione sacra del sito, forse un santuario. Quest’ultima tesi snatura totalmente la tesi esposta nel passato dal De Nino che riteneva il sito essere un luogo deputato al conio delle monete. Tuttavia la tesi del luogo sacro è avvalorata da importanti analisi e ritrovamenti ulteriori a quelli ottenuti con le campagne di scavo del 1965 e del 1966.
Il ritrovamento più importante che ha condotto gli studiosi ad ipotizzare una funzionalità sacra del complesso è la statuetta raffigurante la Dea Madre Mediterrana in stile Cicladico con incisa la singolare iscrizione in Lineare-A Cretese-Minoica con bipenne. Sempre secondo gli studiosi tale reperto con le iscrizioni che riporta costituisce un documento eccezionale non solo per la Protostoria Peligna, ma per la stessa storia degli Italici. Si ritiene sia il più antico documento epigrafico d’Italia.
Inoltre gli studiosi hanno condotto un intuitivo lavoro di decifrazione delle scritture ottenendo risultanze che alludono al culto del dio Baal, di Astarte e di Adaad, cioè delle stesse deità semitiche Minotiche e Micenee. Queste ipotesi spostano la data di nascita del sito denominato Colle delle Fate al 1800-1700 a.C. Il ritrovamento della Dea Madre a Roccacasale e le iscrizioni su di essa decifrate, pongono un legame con analoghe civiltà legate a mitologie astrali come quella Sarda. Infatti in Sardegna a Sernobi è stata rinvenuta una Dea Madre iconograficamente simile alla Dea Madre di Roccacasale. Ad avvolarare la tesi del culto degli astri si presenta l’ipotesi che i pozzi rinvenuti all’interno del perimetro dell’acropoli costituiscano veri e propri osservatori astronomici per studiare i fenomeni dei solstizi e degli equinozi in stretto rapporto con i culti agrari.
Queste civiltà hanno una matrice mediterranea Greco-Semitica. Infatti il tempio di Colle delle Fate di Roccacasale è simile ai più antichi monumenti dell’architettura fenicia e costituiscono la radice dell’antichissima civiltà della stirpe Peligna.